"Ho bisogno di un'infusione di fiducia.
Ho bisogno di spararmi in vena la speranza
e di sniffare la polvere del sorriso.
Il tumore non deve ostacolare la mia esistenza.
E, dopo ben due anni, torno al mare.
Mi accoglie un fresco venticello di tramontana che increspa le onde,
trascinando a pelo d'acqua sulla spiaggia
una natura morta di alghe dai colori autunnali.
Ad un tratto uno stormo di uccelli bianchi..."
Antonia Occhilupo ci racconta del suo "incontro" con la miastenia e il tumore. La scrittura diviene qui mezzo per esorcizzare la malattia, per renderla in qualche modo compatibile con la vita. Quando si affronta un dolore così forte, di solito, cadono le certezze, le fedi su cui si fonda l'esistenza. L'autrice riesce a salvarne una, la sola che conta veramente: il legame affettivo, l'amore profondo per la famiglia. Il libro è una testimonianza toccante di come gli affetti più autentici possano "salvarci". La prima tappa del cammino di questa esperienza è il coma ed il confronto con un nuovo modo di essere al mondo: dipendente da una terapia rigida, confinata a casa, lei prima sempre "in prima linea" accanto alla sofferenza degli altri. Ma è questa nuova dimensione l'ispiratrice, paradossalmente, di una infinita creatività letteraria. La sofferenza diventa occasione per ricordare momenti struggenti dell'infanzia, per comunicare gli istanti più drammatici, per interpretare tecnicamente sogni carichi di simbolismi, per fissare sensazioni ed emozioni intensissime. L'autrice non prescrive ricette per eliminare il dolore né per lenirlo. Offre, però, i mezzi per trasformarlo in un'esperienza che può arricchire chi è costretto a viverla.
Dona la scrittura come capacità di dare ascolto alla propria voce interiore; come possibilità di cercare un'altra verità; come sopravvivenza. Il libro insegna come, nella malattia, si possa sfidare la morte per raggiungere una nuova pienezza di vita: attraverso la speranza, il sorriso ed il sogno, "anche ridotti a lumicino".
Ornella Ghezzi
La mia sconcertante storia di angoscia, di sofferenza, di dolore inizia con un sogno che ha rappresentato nella mia vita un vero e proprio ciclone, quasi un vivere due vite, una prima, serena e tranquilla, e una dopo, sconvolgente e travolgente, sradicando e trascinando di netto le certezze del mio quieto vivere, per trascinarle nella tenebrosa valle nera del nulla.
Tutti sognano; il più delle volte i sogni sono lieti, a volte nefasti, e la mia vita è stata spesso costellata da agghiaccianti notti funeste. Erano sogni che riguardavano gli altri e, per quanto profeticamente terrificanti, non erano diretti contro la mia stessa vita. Erano sogni chiari, sfacciatamente espliciti e determinavano in me una immediata reazione di devastante turbamento interiore. Erano sogni funestati dalla morte, forieri di disperazione immane. Codesto ultimo sogno era velatamente celato e segretamente seducente, non era ingarbugliato o incomprensibile. Codesto ultimo sogno non ha suscitato in me sentimenti di perdita e di impotenza, anzi mi ero svegliata serena e placata, quasi con un rilassante senso di vittoria. Codesto ultimo sogno era invece infidamente macabro e ho capito che ero io la vera protagonista, non più una spettatrice terrorizzata e impotente, solo dopo aver fatto capolino all'esperienza del coma.
Il mutamento dal benessere alla malattia non è avvenuto pian piano, in punta di piedi. Sono passata dalla normalità alla patologia in un battibaleno, dalla luce della vita al buio del coma, dalla pacatezza della salute alla deflagrazione del tumore, attraversando il limbo della miastenia. Il coma si è abbattuto su di me come un fulmine a ciel sereno, come un temporale improvviso in un luminoso giorno d'estate.
E' uno splendido pomeriggio assolato di luglio e mi reco in ospedale per sottopormi ad un banale intervento chirurgico...